Libertà e Responsabilità

“La libertà significa responsabilità: ecco perché molti la temono.”
(George Bernard Shaw)
Cosa vuol dire essere liberi? Cosa vuol dire essere responsabili? Quando si è veramente liberi? E quando veramente responsabili? E poi, liberi da chi o da cosa? Responsabili di sé stessi o di qualcun altro? Questi sono gli interrogativi che mi sono posta quando mi è stato chiesto di riflettere su questi due grandi temi che pervadono da sempre la vita di ogni individuo.
Etimologicamente:
Li-ber-tà: assenza di costrizioni. Dal latino “libertas”, l’essere libero. È una parola archetipica che racchiude in sé uno degli aspetti più importanti dell’intera umanità.
Nel mio immaginario la libertà di ogni essere umano è fatta di redini da tenere ben salde e da riprendere nel caso in cui ci scappino di mano o che ci vengano tolte da qualcuno. Nasciamo liberi, poi chissà per quale motivo perdiamo la nostra libertà, diveniamo vincolati dalle richieste sempre più pressanti della società.
Esistono delle leggi e degli imperativi categorici che limitano la libertà degli individui. “Devi essere il migliore”, “devi essere educato”, “devi avere un buon lavoro”, “non devi comportarti così”.. E’ il “Devo”, o il “non devo”, l’introietto, che inizia a limitare la libertà dell’essere umano, il quale rinuncia al proprio senso di individualità. Per Erving e Miriam Polster: “la persona che ha ingoiato per intero i valori dei genitori, della scuola e della società vuole che la vita continui come prima. Quando il mondo le cambia intorno, diviene facile preda dell’ansietà e delle difese. Ella manipola la propria energia in modo da sostenere gli standards introiettati e, allo stesso tempo, in modo da mantenere il suo comportamento più integrato possibile con il senso giusto e sbagliato lasciatogli in eredità. Persino quando l’introiezione ha effetti positivi, cioè quando è compatibile con
il mondo reale in cui vive, la persona paga un prezzo elevato, perché ha rinunciato al senso di libera scelta nella vita”. È proprio la rinuncia al senso di libera scelta di cui parlano i coniugi Polster, che a mio avviso limita la libertà dell’essere umano, in particolare, nel colloquio terapeutico l’introietto impedisce il sentire autentico. Nel lavoro terapeutico, a mio avviso, bisogna ripristinare un potere di scelta personale e quindi la libertà e la responsabilità di essere se stessi. A tal proposito ritengo necessario introdurre l’altro grande tema esistenziale: la responsabilità.
Res-pon-sà-bi-le dal latino: respondere, rispondere. Composto di “re” indietro e “spondere” promettere, più il suffisso “-bile” che indica facoltà, possibilità. Parola complessa, di importanza capitale. Essere responsabile potrebbe essere un “assumiti le tue responsabilità!”, la responsabilità di te stesso. In psicoterapia della Gestalt alla parola “responsabilità” viene dato un grande significato, la stessa psicoterapia della Gestalt viene chiamata la terapia della responsabilità.
Nel libro “L’eredità di Perls. Doni dal lago Cowichan”, Fritz Perls e Patricia Baumgardner parlano di assunzione di responsabilità del terapeuta nei confronti del paziente e del paziente nei confronti di se stesso. Nel colloquio terapeutico, oltre alla disponibilità a scoprire se stesso, chiediamo, infatti, continuamente al paziente di assumersi le proprie
responsabilità e per lasciare al paziente la responsabilità di se stesso, secondo Perls, dobbiamo evitare il ruolo di colui che aiuta ma dobbiamo essere in grado, come terapeuti, di riconoscere come il paziente si destreggia, come manipola e cosa chiede, nella sua convinzione che il terapeuta si porrà in una posizione top-down che, attraverso la sua conoscenza, risolverà tutto.
Secondo Perls, a questo punto il terapeuta deve fare 3 cose:
- Riconoscere come il paziente cerca di farsi aiutare,
- Evitare di essere fagocitato,
- Prendersi cura del paziente, sapendo come trattare le sue manipolazioni.
Questo vuol dire essere responsabili del paziente. Ma in che modo il paziente diverrà responsabile di se stesso? Ho trovato esplicativo per spiegare questo punto un passo di Perls: “sempre su questo tema della responsabilità, è importante lavorare con i mezzi di fuga verbali del paziente, in particolare con l’uso delle forme impersonali e di quelle passive. “Ho fatto questo” diventa “E’ successo questo”. Secondo Perls, in questo caso bisogna interrompere il paziente per chieder loro di riprendere possesso di se stessi. Quindi di riprendere la piena responsabilità di se stessi.
“Chiedete al paziente di ascoltare se stesso diventando la persona a cui dice di non potere, chiedetegli di operare un feedback, di mimare se stesso, di assumere il ruolo opposto, fino a che non scopre la sua fuga e non esprime la volontà, sia a parole che al di là del livello verbale, di assumersi la responsabilità per ogni frammento del suo comportamento, per quanto assurdo, non intenzionale o inaccettabile lo trovi”.
In psicoterapia, l’assumersi la propria responsabilità dipende dal contatto con ciò che succede fuori dalla razionalità. A mio avviso, solo assumendosi la responsabilità delle proprie parole, delle proprie azioni e del proprio sentire, si può riacquistare quella libertà perduta che in alcuni casi ci è stata limitata quando il sé è stato invaso dal mondo esterno, quando il mondo esterno non è stato “masticato” in base ai nostri bisogni. La libertà è quella dimensione umana che consente alla persona di ogni età di affermarsi con la propria identità, di sviluppare le proprie energie, di stabilire rapporti responsabili con gli altri e con il mondo. Per sentirsi liberi occorre conoscersi meglio, avere la consapevolezza di sé, sviluppare autosufficienza e autonomia. Puoi essere libero ed essere chi hai scelto di essere solo da una posizione di piena responsabilità. Se non riconosci la tua totale responsabilità nei confronti di come reagisci al mondo, non puoi diventare pieno padrone della tua vita e quindi non sarai mai libero.
Rosanna D’Onofrio
“Terapia della Gestalt integrata, E.M. Polster”
“L’Eredità di Perls, doni dal lago Cowichan”