Isolamento Sociale Volontario:
Hikikomori
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Hikikomori è un termine giapponese che significa letteralmente “stare in disparte”.
È stato coniato dallo psichiatra giapponese Tamaki Saitō nel 1998 e viene usato per definire chi decide volontariamente di ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi (da alcuni mesi fino a diversi anni), rinchiudendosi nella propria camera da letto, senza aver nessun tipo di contatto diretto con il mondo esterno.
Il fenomeno dell’isolamento sociale volontario è stato studiato sin dai primi anni ’80 e può essere inteso come una spinta all’isolamento che si innesca come reazione alle eccessive pressioni di realizzazione sociale, tipiche delle società capitalistiche economicamente più sviluppate.
In Giappone i dati sono allarmanti: 1.2% della popolazione (2% di quella giovanile) secondo le associazioni di settore, 541.000 casi secondo il Governo Giapponese, di età compresa tra i 15 ed i 39 anni (non vengono quindi considerati i casi di over 40 ossia della seconda generazione di Hikikomori).
Saitō definisce hikikomori coloro che diventano reclusi in casa propria, per una durata di almeno sei mesi, e per i quali altri disturbi psichiatrici non spiegano il sintomo primario di ritiro. Il Ministero della Sanità, del Lavoro e del Welfare Giapponese (2003) ha stabilito i criteri base per meglio circoscrivere tale fenomeno: uno stile di vita centrato a casa; nessun interesse o disponibilità a partecipare alla scuola o al lavoro; persistenza dei sintomi per almeno sei mesi; schizofrenia, ritardo mentale o altri disturbi mentali devono essere stati esclusi; tra quelli che manifestano disinteresse nel frequentare la scuola o il lavoro, sono stati esclusi coloro che mantengono relazioni personali.
Anche in Italia l’attenzione verso il fenomeno sta aumentando, infatti, il ritiro sociale, sembra non essere una sindrome culturale solo giapponese ma un disagio che riguarda tutti i paesi economicamente sviluppati. Nel nostro paese non esistono statistiche ufficiali, ma si stimano più di 100.000 casi in aumento negli ultimi anni.
L’hikikomori è un fenomeno che potenzialmente può riguardare tutti, senza limiti di sesso, età o estrazione sociale. È un fenomeno molto complesso e variegato ma è innegabile che ci siano delle caratteristiche che lo contraddistinguono. Il ritirato sociale solitamente è figlio unico o primogenito, maschio (in Giappone sarebbero circa il 90% di sesso maschile, in Italia questa posizione sembra essere meno netta, ma il numero di hikikomori di sesso femminile sembra essere nettamente sottostimato). Famiglia monoparentale o comunque con problemi di separazioni e/o divorzi, solitamente è un adolescente o giovane adulto (in Italia, la maggior parte degli hikikomori ha un’età compresa tra i 14 e i 25 anni, in Giappone, invece, l’età media è molto più alta e ci sono moltissimi reclusi over 40, i quali hanno iniziato il proprio isolamento durante l’adolescenza e lo hanno perpetrato per decenni). Si tratta spesso di ragazzi e ragazze molto brillanti, molto riflessivi, introspettivi e critici e che possiedono un atteggiamento negativo verso la società.
Il Dott. Marco Crepaldi, presidente dell’Associazione Hikikomori Italia definisce l’Hikikomori come: “una pulsione all’isolamento sociale che può essere più o meno intensa e meglio o peggio contrastata dal soggetto che la esperisce in base a una serie di fattori personali e ambientali (temperamento, ambiente famigliare, ambiente scolastico, ambiente sociale, ecc.).”
Dalla nostra esperienza, infatti, emerge che l’hikikomori derivi da una serie di concause: caratteriali, familiari, scolastiche e sociali. In particolar modo vogliamo porre l’attenzione sulla causa madre del ritiro sociale: la pressione di realizzazione sociale tipica della società narcisistica in cui viviamo.
La quasi totalità della letteratura internazionale, sostiene che Hikikomori non è una patologia ma una condizione, un fenomeno sociale che può riguardare ogni società economicamente sviluppata. L’hikikomori non è depressione, non è dipendenza da internet, non è fobia sociale come troppo spesso affermano i professionisti.
Al momento del ritiro, infatti, nessuna di queste patologia è presente e ne giustifica il ritiro. È importante però sottolineare che tutte queste patologie, e molte altre, possono insorgere in una fase successiva, divengono secondarie, reattive. Tra di esse, oltre alle sopracitate, possiamo trovare disturbi psichiatrici, disturbi dello spettro della schizofrenia, dismorfofobia, disturbi d’ansia, etc..
Dalla nostra esperienza nell’Associazione è emerso che molti ragazzi sviluppano un disturbo ossessivo compulsivo focalizzato sulla pulizia ma anche problematiche alimentari quali anoressia, bulimia e soprattutto obesità. Per quanto riguarda gli aspetti della personalità che si possono trovare in Hikikomori sono principalmente: dipendenza, narcisismo, evitamento, comportamento oppositivo e provocatorio ed infantilismo.
Il processo di isolamento può essere suddiviso in 3 stadi:
nel primo stadio la persona inizia a percepire malessere nelle relazioni sociali e cerca di rifugiarsi nell’isolamento che comunque prova a combattere mantenendo relazioni interpersonali. In questa stadio la persona incomincia a saltare la scuola, a rinunciare agli hobby, a privilegiare attività solitarie.
Nel secondo stadio si incrementa questa tendenza alla solitudine, giustificando il rifiuto di “connettersi” agli altri e con la società in generale con motivazioni altamente razionali e logiche, potenziando attività online come social network, chat e giochi.
Nel terzo stadio, infine, viene meno anche quanto descritto in precedenza: nessun contatto con amici o conoscenti in rete, chiusura totale verso i genitori, isolamento nella propria stanza, alterazione completa del ciclo sonno-veglia con elevato rischio di sviluppare psicopatologie, soprattutto di natura depressiva e paranoide.
Da un anno collaboro con l’Associazione Hikikomori Italia, sono coordinatrice dell’Area Psicologica per il Lazio.